Alessandro TOMMASI: Chopin e l’Italia. Storia di un amore corrisposto

Chopin e l’Italia. Storia di un amore corrisposto

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Alessandro TOMMASI

Ryc. Fabien CLAIREFOND

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Per questo risuonare di Chopin, da polacco, in sintonia con l’arte italiana che questa ricoprì un ruolo così importante nella sua musica, scrive Alessandro TOMMASI

Che il rapporto di Chopin con l’Italia sia stato quello di un lungo amore, benché platonico, è ben noto. Chopin non soggiornò mai in Italia, salvo per un breve periodo a Genova al ritorno da Maiorca con George Sand. Fin dalla giovinezza però, il compositore polacco vedeva nell’Italia non solo la meta agognata per un viaggio di formazione, progettato già tra il 1829 e il 1831 e mai compiuto, ma anche un ideale artistico, nato nelle atmosfere intrise di cultura italiana cui il giovane Chopin fu esposto già a Varsavia. Del resto, la vicinanza tra Italia e Polonia è confermata da secoli di scambi tra artisti, studiosi, musicisti, architetti. Tra i più grandi nomi di italiani a Varsavia spicca quello di Marcello Bacciarelli, divenuto pittore di corte di Stanislao II, da cui poi ricevette l’incarico di amministrare la vita artistica del regno, dirigere gli edifici reali e curare la collezione d’arte del Re. Tracce di questi scambi si potevano incontrare ancora ai tempi di Chopin: al Gabinetto delle Stampe dell’Università di Varsavia, luogo vicino alla biografia del compositore, erano conservate le incisioni di Piranesi e vari altri volumi dedicati all’arte italiana, soprattutto di epoca classica e con una particolare predilezione per i ritrovamenti di Ercolano. Di più, Brodowski, amico di famiglia degli Chopin e docente di pittura presso l’Università di Varsavia, utilizzo più volte pagine di questi volumi come modello per le sue opere e le sue lezioni. L’influenza dell’arte classica, la fascinazione per un’antichità candida e proporzionata doveva d’altronde accompagnare Chopin nelle sue passeggiate nel parco di Łazienki, con il suo Teatro sull’Acqua, ispirato all’appena rinvenuto teatro di Ercolano. L’arte italiana si ritrovava anche in molti edifici del tardo Settecento polacco, fortemente influenzati dall’opera di Palladio. Anche i teatri erano intrisi di arte italiana fin dagli stessi muri: il Teatro Nazionale era stato creato da Bonawentura Solari, architetto di origini italiane, e pure il nuovo teatro del 1833 reca la firma di un italiano, Antonio Corazzi, che nei 24 anni passati a Varsavia costruì numerosi edifici, sempre ispirati all’antichità classica.

Ho menzionato l’Università di Varsavia non a caso. Chopin e tutta la sua famiglia vissero dal 1817 al 1827 presso l’Università stessa e tra Università e Conservatorio frequentò anche i corsi della Scuola Normale di Musica. Proprio durante gli anni in cui abitò nell’edificio dell’Università, il giovane Chopin ebbe a pochi metri da casa l’ampia collezione di calchi in gesso, tratti da celebri statue dell’antichità greca e romana e dai più recenti capolavori di Canova, collezione di cui ancora oggi si conservano numerosi esemplari. Gran parte dei suoi amici e degli amici di famiglia frequentavano o insegnavano all’Università e gli stessi Chopin tenevano a pensione alcuni giovani studenti. Insomma, Fryderyk Chopin ebbe modo di crescere in contatto quasi ogni giorno con la cultura italiana e questo risulta evidente dalla sua opera. Più che la forza espressiva di Michelangelo però, che George Sand riferisce Chopin non gradisse, i modelli sono la levigata eleganza di Canova, le espressive sfumature di Bernini, le raffinate vedute veneziane di Canaletto. Per questo Chopin rimane una figura così ambigua nell’Ottocento. Simbolo per eccellenza del Romanticismo, eppure così distante dall’incandescente espansività di Liszt, dalle visioni di Schumann, dal rivoluzionario sperimentalismo di Berlioz, Chopin sembra invece ricercare un sublime equilibrio, sicuramente congenito ma intensificato dalla vicinanza con l’arte italiana.

Il più importante contatto di Chopin con la cultura italiana, tuttavia, fu ovviamente quello con la musica. Abbiamo visto come il compositore fosse cresciuto immerso in un ambiente in cui si respirava cultura italiana. Non ci dobbiamo dunque stupire che anche la musica del Belpaese avesse un grande successo a Varsavia. Uno dei primi contatti di Chopin con la musica italiana avvenne tramite Carlo Evasio Soliva, compositore, docente di canto (oltre che maestro del grande amore del giovane Chopin, Kostancja Gładkowska), direttore d’orchestra e direttore del Conservatorio di Varsavia. Nonostante gli attriti di Soliva con Józef Elsner, Chopin riuscì a mantenere un rapporto cortese e di collaborazione tanto con il direttore quanto con il maestro e si esibì più volte a serate musicali accompagnando Soliva al pianoforte o esibendosi con l’orchestra diretta da Soliva.

Ancora più importante fu però l’incontro con Niccolò Paganini. Paganini si trovò a Varsavia tra il 23 maggio e il 14 giugno 1829 per dare dieci concerti presso il Teatro Nazionale in occasione dell’incoronazione dello Zar Nicola I come re di Polonia. Per il diciannovenne Chopin fu un fulmine a ciel sereno: per anni, nelle sue lettere, non potrà che confrontare con Paganini i solisti che avrà modo di ascoltare. Chopin stesso verrà poi più volte paragonato al violinista genovese, persino da Felix Mendelssohn. D’altronde, Paganini fu un fenomeno importantissimo per tutto il Romanticismo: Liszt, Schumann, Chopin, Berlioz, tutti trassero dal grande violinista l’ideale di trascendenza ossia la capacità di superare i limiti del proprio strumento. Ogni compositore interpretò questa visione in modi completamente diversi, ovviamente. Chopin ne trasse in primo luogo stimolo per gli Studi op. 10 e op. 25, la cui composizione comincia proprio nel 1829, ma non solo. Osservando Souvenir de Paganini, anch’esso del 1829, troveremo in queste variazioni sulle variazioni di Paganini dal Carnevale di Venezia op. 10 elementi da cullante barcarola (non senza un certo livello di ironia caricaturale) e le usali variazioni ricamate sul canto della mano destra, che saranno poi riprese in molte composizioni degli anni successivi.

In questa mia panoramica dei contatti di Chopin con la cultura italiana, ho volutamente lasciato per ultima la più importante delle manifestazioni artistiche con cui Chopin restò in contatto fin dall’infanzia: l’opera, e nello specifico il belcanto, per cui Chopin provò un’intensa devozione per tutta la vita. Varsavia amava l’opera italiana: come gran parte dell’Europa del diciannovesimo secolo, anche la capitale polacca era stata travolta dal ciclone Rossini. Nel 1818 Tancredi fu la prima opera di Rossini data a Varsavia, cui seguì un inarrestabile successo, confermato dal predominio sulla vita operistica cittadina tra il 1820 e il 1830. Chopin fu molto legato all’opera di Gioachino Rossini, persino più che a quella di Bellini cui invece è spesso accostato. Della musica di Rossini scrisse spesso nelle sue lettere, sappiamo che improvvisò più volte su temi rossiniani e alcune sue piccole composizioni giovanili nascondono citazioni e riferimenti all’opera del Pesarese, tra cui una polacca giovanile il cui Trio reca una citazione dall’aria di Giannetto de La gazza ladra. Non ci si deve certo stupire che Chopin ammirasse Rossini. Compositore consapevolissimo degli umori e delle tendenze del suo tempo, Rossini rimane tuttavia sempre e comunque un uomo del Settecento, cresciuto alla scuola di Mozart e dotato di un’aristocratica astrazione che, salvo per quel monumento che è il Guglielmo Tell, lo allontanò sempre dalle tempestose atmosfere dello Sturm und Drang. Sul rapporto di Chopin e la musica di Bellini, invece, ci sono testimonianze contrastanti, ma a prescindere dalla vera opinione di Chopin, restio come sempre ad esprimersi nelle lettere, vi sono innegabili convergenze nella musica dei due compositori. Chopin resta comunque un uomo del primo Ottocento, nutritosi del modello rossiniano e sospinto dal proprio spirito aristocratico in una direzione simile a quella di Bellini, più che verso il “teatro del vero” di Donizetti e poi di Verdi. 

Ma in cosa si manifesta dunque questa influenza dell’opera italiana nella musica di Chopin? Senza scendere nei dettagli, dall’opera italiana Chopin trasse soprattutto un’idea di canto, modellata sulle linee del belcanto, con il suo equilibrio, la sua seducente plasticità, la sua naturalezza espressiva. Tutte caratteristiche che ci riportano a quell’ideale di arte classica, la cui atmosfera Chopin aveva a volte più, a volte meno consciamente respirato fin dall’infanzia. Per questo nell’opera di Chopin, anche nei passaggi più tesi, anche nei momenti più drammatici non si arriva mai all’esaltazione di Schumann o alla teatrale gesticolazione di Liszt. Questa vicinanza elettiva con l’opera italiana del primo Ottocento può essere rintracciata nel profondo rapporto di Chopin con la musica popolare polacca e in generale in quella convergenza tra culture italiana e polacca che la storia delle relazioni tra i due paesi, come si diceva, dimostra. Prendiamo ad esempio il caso del rubato chopiniano: il grande studioso Gastone Belotti ne riconduce le radici all’opera lirica italiana, in cui la libertà del canto sull’accompagnamento discreto e regolare era prassi dei grandi cantanti dell’epoca. Alina Żórawaska-Witkowska ne ritrova però la presenza anche nella musica popolare polacca, dove ritmi di danza, raddoppi melodici e forme ternarie con i vari da capo sono solo alcune delle somiglianze, che si estendono fino all’accentazione delle parole. Insomma, probabilmente è anche per questo suo risuonare, da polacco, in sintonia con l’arte italiana che questa ricoprì un ruolo così importante nella sua musica.

Ovviamente vale anche il discorso inverso. Ancora non è stata così esplorata, ma la ricezione di Chopin in Italia fu fin dall’Ottocento ampissima. Nonostante la cultura musicale italiana fosse prevalentemente dominata dall’opera fino al tardo Ottocento, la musica di Chopin si fece gradualmente e implacabilmente strada nei salotti e nelle sale da concerto del Belpaese, fino a trovare sempre più successo sia presso il pubblico che presso pianisti, compositori e musicologi, come ricostruisce con precisione Silvia Bruni. Un aspetto che il pubblico italiano del secondo Ottocento riusciva istantaneamente a cogliere era il patriottismo: da Paese oppresso a Paese oppresso, la narrazione di Chopin esule che canta le sorti della sua Polonia trovava facile empatia nell’Italia risorgimentale, alla ricerca dell’unità e impegnata in complesse guerre d’indipendenza.

Se quello di Chopin per l’Italia fu dunque amore, fu senz’altro amore corrisposto, sviluppatosi negli anni di studio e ben radicato fin dall’infanzia. Possiamo infatti risalire ad un’altra, importantissima origine di questa passione: il cibo. Pastifici, ristoranti e, soprattutto, pasticcerie nella Varsavia del primo Ottocento erano in gran parte italiani. E poche cose restano altrettanto impresse nella mente e nel cuore di un bambino, come il posto da cui vengono le torte.

Materiale protetto da copyright. Ulteriore distribuzione solo su autorizzazione dell'editore. 05/01/2022