Il Papa provvidenziale dalla Polonia
La sera del 16 ottobre 1978, il mondo fu elettrizzato dalla notizia dell’elezione dell’allora cinquantottenne cardinale Karol Wojtyła a Papa. Nella stragrande maggioranza delle case polacche, sia nel paese che all’estero, regnava uno stato d’animo di gioia straordinaria.
Gli attoniti membri della dirigenza del Partito Comunista Polacco capirono che il controllo delle anime polacche sfuggì loro di mano. Una settimana più tardi si tenne la cerimonia di inaugurazione del pontificato di Giovanni Paolo II, trasmessa dalle stazioni televisive di tutto il mondo, compresa la televisione in Polonia.
I polacchi potevano pertanto constatare la portata mondiale dell’elezione di Giovanni Paolo II. L’ascesa di un polacco alla Santa Sede, l’improvviso aumento di interesse per la Polonia nel mondo ed il 60° anniversario della sua indipendenza nel novembre 1978, spinsero ampi circoli sociali a rivalutare la posizione e le opportunità della Polonia nel mondo.
Sempre più spesso ci si rendeva conto che la Polonia, spinta dopo il 1945 nel blocco sovietico contro la volontà dei polacchi, aveva bisogno di profonde riforme. La consapevolezza della necessità del cambiamento o, altrimenti, del crollo del sistema comunista maturava anche in alcuni ambienti di partito. Intanto la dirigenza del PZPR non pensava affatto alle riforme. Arrivando al massimo a paralizzare le iniziative sociali e a reprimere gli attivisti dell’opposizione, il gruppo di Edward Gierek adottò misure amministrative ad hoc ed organizzò spettacoli di propaganda che difficilmente convincevano ad agire.
Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia dal 2 al 10 giugno 1979 fu di importanza storica. Rafforzò la fede dei credenti e sostenne la speranza dell’intera società.
Durante tutte le tappe del viaggio, da Varsavia fino a Cracovia, dove il Papa salutò il paese all’aeroporto di Balice, tutta la Polonia viveva in euforia. Diversi milioni di polacchi parteciparono direttamente agli incontri con il Papa.
Il pellegrinaggio papale diede ai polacchi l’opportunità di conoscere se stessi e di rafforzare il loro senso di comunità nazionale. Dimostrò al mondo, informato da oltre mille giornalisti e da numerose stazioni televisive, che il cattolicesimo polacco non era solo popolare, di massa ed emotivo, ma anche profondo e disciplinato.
Il Papa strinse un eccellente rapporto con ogni pubblico. Durante quei “nove giorni che scossero la Polonia”, la società completava con gli applausi i pensieri del Papa e dichiarò il suo desiderio di dignità, sovranità e legame con la tradizione cristiana.
Una lunga ovazione seguì le parole del Santo Padre durante la messa in Piazza della Vittoria il 2 giugno: “Cristo non può essere escluso dalla storia dell’uomo in nessun luogo della terra”. Il canto “Noi vogliamo Dio”, intonata in quel momento, ebbe un significato speciale. Il messaggio cristiano risuonava in armonia con quello nazionale. Quando toccava questioni politiche, il Papa diceva la verità a “tutti e a ciascuno”, mischiandola a volte con l’amarezza dell’esperienza polacca. A Varsavia, per esempio, menzionò la rivolta del 1944, quando la capitale polacca fu “abbandonata dalle potenze alleate” in combattimento. Salutando la sua patria nella Błonia di Cracovia, disse: “Prima di andarmene da qui, vi chiedo (…) di non dubitare mai, di non stancarvi e di non scoraggiarvi, nonché di non tagliare le radici da cui siamo cresciuti”.
Questo appello si radicò saldamente nella coscienza di tutta la generazione dei polacchi, modellando il loro atteggiamento nei decenni successivi. Come scrisse George Weigel, “era scoppiata la rivoluzione dello spirito”, la cui forza Giovanni Paolo II attinse dalla fede, ma anche dal patrimonio culturale polacco, dalle opere di Adam Mickiewicz, Juliusz Słowacki o Cyprian Kamil Norwid e dei numerosi santi polacchi.
Il messaggio del Papa contribuì in gran parte alla nascita di “Solidarność”, forse il più grande movimento sociale della storia in proporzione alla popolazione.
Questo messaggio, tuttavia, andava ben oltre le questioni polacche. Il fatto che il cittadino di un paese del blocco sovietico sia diventato Papa fece capire ad una vasta cerchia di opinionisti internazionali che la divisione del mondo nella Guerra Fredda era artificiale e non doveva essere eterna. Nell’omelia di Gniezno del 3 giugno 1979, il Papa delineò una visione dinamica della comunità europea nel cristianesimo, ricordando la cristianizzazione delle nazioni dell’Est europeo, unite al resto del continente.
Questo discorso dovette aver destato una particolare preoccupazione nella dirigenza sovietica. Il 7 giugno di quell’anno, Giovanni Paolo II disse ad Auschwitz: “Mai una nazione può svilupparsi a spese di un’altra”, e la proclamazione di questa frase ebbe senza dubbio anche una dimensione contemporanea.
Durante oltre un quarto di secolo del suo viaggio nella storia recente, Giovanni Paolo II visitò più di cento paesi. In molti luoghi risvegliò lo spirito di giustizia nelle società e tra le élite politiche. Ripetendo lo slogan “Non abbiate paura!”, contribuì notevolmente a sgretolare le fondamenta del sistema comunista, basate sulla paura. Gli osservatori esterni dei pellegrinaggi papali notarono che il dominio comunista della coercizione non ebbe nulla a che vedere con la liberazione sociale o economica, e che il cristianesimo fu molto più vicino alla protezione dei diritti umani. In uno spirito simile, Giovanni Paolo II influenzò la mitigazione dei conflitti sociali ed internazionali nel Terzo Mondo. Ma soprattutto contribuì alla fine della Guerra Fredda.
.Quando nel 1987 il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan disse a Berlino Ovest: „Mister Gorbachev, tear down this wall”, il terreno per questa trasformazione era già ben preparato da Giovanni Paolo II.
Wojciech Roszkowski