
La difesa dell'indipendenza
„[…] non ci sono più occupanti. Siamo i padroni di casa”, esultava il politico ed editorialista di Varsavia, Ignacy Baliński, nel novembre 1918. La libertà appena riconquistata dalla Polonia doveva, però, ancora essere difesa dalla Russia, proprio come è chiamata a fare l’Ucraina oggi.
.”La vita procede a una velocità incredibile. […] Ogni ora porta qualcosa”. – scrisse la scrittrice Maria Dąbrowska nei suoi Diari. Era il 10 novembre 1918. In Germania, attanagliata dai tumulti rivoluzionari, l’era imperiale stava volgendo al termine. Guglielmo II decise di fuggire nei Paesi Bassi e il giorno dopo, a Compiègne, in Francia, una delegazione tedesca firmò un armistizio, di fatto una capitolazione, che pose fine alla Prima guerra mondiale. L’impero austro-ungarico si era già sgretolato e, in Russia, stava scoppiando la guerra civile. Nuovi Stati stavano nascendo sulle rovine degli ultimi imperi. L’ora della libertà era scoccata anche per la Polonia.
Vivere per vedere l’indipendenza: questo fu il sogno di diverse generazioni di polacchi da quando il loro Paese scomparve dalla mappa dell’Europa alla fine del XVIII secolo, diviso fra tre potenti vicini: Prussia, Austria e Russia. Ci furono momenti, come durante le guerre napoleoniche, in cui il sogno polacco di libertà sembrò vicino a realizzarsi. In seguito, però, l’obiettivo dell’indipendenza si allontanò. I polacchi combatterono per essa più di una volta, con le armi in pugno: durante la Rivolta di Cracovia (1846), durante la Rivolta di Poznań (1848) e durante le due rivolte contro la Russia, ovvero durante la Rivolta di Novembre (1830-1831) e la Rivolta di Gennaio (1863-1864). Il prezzo di queste rivolte fallite fu alto: condanne a morte, deportazioni in Siberia, confische di beni, liquidazione dell’autonomia polacca, intensificazione della germanizzazione e della russificazione.
Tuttavia, anche durante l’occupazione, la cultura polacca fiorì e la società non voltò le spalle all’identità polacca. Scrittori eccezionali, come il premio Nobel Henryk Sienkiewicz, o pittori, come Jan Matejko, ad esempio, produssero appositamente creazioni „per consolare il cuore”. Nelle loro opere, ricordarono i tempi della grandezza polacca e ridonarono speranza al popolo.
Anche lo scoppio della Prima guerra mondiale infuse speranza ai polacchi indipendentisti. Nell’agosto del 1914, si contrapposero gli eserciti delle potenze spartitrici: Germania e Impero austro-ungarico da una parte e Russia dall’altra. Il lungo conflitto esaurì le forze di tutte e tre le potenze. La Russia sprofondò nelle rivoluzioni. L’Impero austro-ungarico si sgretolò come un castello di sabbia. La Germania, anch’essa minacciata dalla rivoluzione, fu costretta a chiedere all’Intesa una pace e a sottostare alle sue condizioni. Per i polacchi si aprì un’opportunità storica. Era necessario agire per non sprecarla.
„Al mattino, fin dalle prime ore, gli ufficiali tedeschi vennero disarmati a tutti gli angoli delle strade. […] Per tutto il giorno, ai tedeschi vennero sottratte le proprietà militari e venne tolto loro il controllo delle autorità civili”, si legge nei Diari di Dąbrowska. La scrittrice registrò le proprie osservazioni sul posto, da Varsavia. Le note sul disarmo dei tedeschi risalgono all’11 novembre 1918, considerato come il primo giorno di una Polonia rinata. Quel lunedì freddo e nebbioso, il Consiglio di Reggenza – un organo ancora nominato tale dalle autorità tedesche e austro-ungariche occupanti – consegnò il potere dell’esercito a Józef Piłsudski, un importante attivista indipendentista polacco. Tre giorni dopo, gli affidò anche pieni poteri civili.
Il 16 novembre 1918, Piłsudski inviò un telegramma ai governi di „tutti gli Stati belligeranti e neutrali”. Li informò che una Polonia sovrana era rinata, comprendente le terre di tutte le spartizioni precedenti, democratica, costruita „sull’ordine e sulla giustizia”. Il governo di Jędrzej Moraczewski, da lui nominato, annunciò importanti riforme sociali: la giornata lavorativa di otto ore, il diritto di sciopero, l’assicurazione contro le malattie. Il diritto di voto – molto prima che in molti Paesi occidentali – fu concesso anche alle donne. Tutto questo fece, della rinata Polonia, uno Stato assolutamente moderno.
Nell’autunno del 1918, tuttavia, nessuno poteva prevedere quale forma territoriale la Polonia avrebbe assunto – o se sarebbe sopravvissuta tutta intera. In Galizia, i polacchi combatterono pesanti battaglie con gli ucraini per Lwów e Przemyśl. Il confine occidentale della Confederazione polacco-lituana fu forgiato durante quattro rivolte contro i tedeschi, avvenute una nella Grande Polonia e tre in Slesia. La minaccia maggiore, però, proveniva da est. Era la Russia bolscevica, che voleva portare la sua sanguinosa rivoluzione in Europa „attraverso il cadavere della Polonia bianca”. Nel 1920, i polacchi sconfissero i bolscevichi alla periferia di Varsavia e a Lwów. Così facendo, difesero la loro indipendenza appena riconquistata. L’espansione sovietica fu fermata. Il Vecchio Continente aveva davanti a sé quasi due decenni di pace.
La libertà, tuttavia, non fu ottenuta una volta per tutte. La Polonia ne fu dolorosamente consapevole nel 1939, quando cadde vittima di due vicini totalitari: la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Questa volta, tornò sulla mappa dell’Europa dopo sei anni, drammaticamente insanguinata e distrutta. Per riottenere la propria sovranità, dovette aspettare ancora molti decenni, fino al crollo del comunismo in questa parte di mondo.
Una generazione di polacchi nati nella libera Repubblica di Polonia è entrata nell’età adulta. Ma, anche oggi, nel terzo decennio del XXI secolo, la libertà e la pace non sono scontate in Europa. Il brutale attacco della Russia all’Ucraina ci ha resi fin troppo consapevoli di ciò.
.L’11 novembre celebriamo ancora una volta la Giornata nazionale dell’indipendenza della Polonia. Felici di vivere in una patria libera. Ma anche consapevoli che l’indipendenza significa servizio costante. Quando è necessario, anche con un’arma in mano.
Karol Nawrocki